Ben prima di Adam Smith nacque la teoria e la pratica del libero mercato. Questo avvenne nel tempo del medioevo cristiano, in particolare con i francescani Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298) e San Bernardino da Siena (1380-1444). È in quest’epoca, infatti, che furono teorizzati importantissimi concetti come valore soggettivo, circolazione della ricchezza, tesaurizzazione della ricchezza, interesse legittimo e illegittimo.
Gli scritti direttamente dedicati all’organizzazione del mercato cittadino del XIII secolo, tuttavia, affondavano le loro radici nella tradizione dei secoli precedenti. Importanti furono gli insegnamenti dei Padri della Chiesa, nei la riflessione economica era profondamente legata al pensiero teologico. È infatti nell’eredità di Basilio di Cesarea (circa 330-379 a.C.) e Clemente Alessandrino (vissuto tra il II ed il III sec. a.C.), e negli Atti dei concili orientali che possiamo ritrovare le prime riflessioni su denaro, ricchezza, lavoro, povertà.
Murray N. Rothbard (1926-1995), economista agnostico d’origine ebraica, riconobbe che in Alberto Magno (1193-1280) e nel suo celeberrimo allievo San Tommaso d'Aquino (1225-1274), nonché nei grandi esponenti della scolastica successivi, il giusto valore di un bene fu riconosciuto legato non ad una qualche sua qualità intrinseca, ma bensì dalla communis opinio o commune estimazione, ovvero il mercato.
Nel suo libro “Economic Thought Before Adam Smith”, Rothbard arrivò a trattare i filosofi scolastici come raffinati economisti che anticiparono alcuni concetti fondamentali come la concezione soggettiva del valore, arrivando quasi a teorizzare l’utilità marginale. La stima di Rothbard si rivolse soprattutto ai francescani Pietro di Giovanni Olivi (che fu il vero ideatore della teoria soggettiva del valore), e a Bernardino da Siena. Quest'ultimo riprese la teoria di Olivi e inoltre analizzò le virtù, i difetti e le funzioni dell’imprenditore.
Anche il sociologo tedesco Werner Sombart nel suo libro “Il borghese. Lo sviluppo e le fonti dello spirito capitalistico” del 1913 era arrivato a delle conclusioni che riconoscevano alla storia del cristianesimo un ruolo particolare per lo sviluppo del pensiero economico:
“Qualunque sia la causa che ha condotto spontaneamente alla elaborazione di un razionalismo economico, non si potrà porre in dubbio che esso abbia trovato un potente appoggio nel dogma della Chiesa, che tendeva a realizzare nel complesso dell'esistenza umana quanto il capitalismo doveva attuare nella vita economica. San Tommaso sapeva che chi vive in castità e con moderazione soccombe più difficilmente al peccato di sperperare, e si rivela anche in altri modi migliore amministratore. Ma oltre alla prodigalità, la morale cristiana combatte anche altri nemici della concezione borghese della vita. Soprattutto l'ozio, che anche per lei è <<il principio di ogni vizi>>.
Accanto all'industriosità e alla parsimonia, gli scolastici insegnarono anche una terza virtù borghese: il decoro, l'onestà o onorabilità. Io credo che dobbiamo all'opera educativa della Chiesa una considerevole quantità di quell'elemento che, sotto la forma della solidità commerciale, è parte tanto importante dello spirito capitalistico. Quando si leggono con attenzione gli scritti degli scolastici, soprattutto quell'opera meravigliosa del grandissimo Tommaso d'Aquino, che nella sua monumentalità fu raggiunta soltanto dalle creazioni di Dante e di Michelangelo, si riceve l'impressione che essi ebbero a cuore, più di questa educazione della borghesia all'onorabilità, un'altra opera educativa: quella che tendeva a fare dei loro contemporanei uomini retti, coraggiosi, intelligenti ed energici. Nulla condannano con maggior veemenza della fiacchezza spirituale e morale. Un concorso a premi che ponesse la domanda: ‘Come posso fare del signore impulsivo e gaudente da una parte e dall'operaio ottuso e fiacco dall'altra, un imprenditore capitalistico?’ non avrebbe potuto trovare una risposta migliore di quella già contenuta nella morale dei tomisti. Le opinioni qui espresse sono nettamente opposte a quelle prevalenti sulla posizione della dottrina ecclesiastica rispetto alle esigenze del sorgente capitalismo".
Murray N. Rothbard (1926-1995), economista agnostico d’origine ebraica, riconobbe che in Alberto Magno (1193-1280) e nel suo celeberrimo allievo San Tommaso d'Aquino (1225-1274), nonché nei grandi esponenti della scolastica successivi, il giusto valore di un bene fu riconosciuto legato non ad una qualche sua qualità intrinseca, ma bensì dalla communis opinio o commune estimazione, ovvero il mercato.
Nel suo libro “Economic Thought Before Adam Smith”, Rothbard arrivò a trattare i filosofi scolastici come raffinati economisti che anticiparono alcuni concetti fondamentali come la concezione soggettiva del valore, arrivando quasi a teorizzare l’utilità marginale. La stima di Rothbard si rivolse soprattutto ai francescani Pietro di Giovanni Olivi (che fu il vero ideatore della teoria soggettiva del valore), e a Bernardino da Siena. Quest'ultimo riprese la teoria di Olivi e inoltre analizzò le virtù, i difetti e le funzioni dell’imprenditore.
Anche il sociologo tedesco Werner Sombart nel suo libro “Il borghese. Lo sviluppo e le fonti dello spirito capitalistico” del 1913 era arrivato a delle conclusioni che riconoscevano alla storia del cristianesimo un ruolo particolare per lo sviluppo del pensiero economico:
“Qualunque sia la causa che ha condotto spontaneamente alla elaborazione di un razionalismo economico, non si potrà porre in dubbio che esso abbia trovato un potente appoggio nel dogma della Chiesa, che tendeva a realizzare nel complesso dell'esistenza umana quanto il capitalismo doveva attuare nella vita economica. San Tommaso sapeva che chi vive in castità e con moderazione soccombe più difficilmente al peccato di sperperare, e si rivela anche in altri modi migliore amministratore. Ma oltre alla prodigalità, la morale cristiana combatte anche altri nemici della concezione borghese della vita. Soprattutto l'ozio, che anche per lei è <<il principio di ogni vizi>>.
Accanto all'industriosità e alla parsimonia, gli scolastici insegnarono anche una terza virtù borghese: il decoro, l'onestà o onorabilità. Io credo che dobbiamo all'opera educativa della Chiesa una considerevole quantità di quell'elemento che, sotto la forma della solidità commerciale, è parte tanto importante dello spirito capitalistico. Quando si leggono con attenzione gli scritti degli scolastici, soprattutto quell'opera meravigliosa del grandissimo Tommaso d'Aquino, che nella sua monumentalità fu raggiunta soltanto dalle creazioni di Dante e di Michelangelo, si riceve l'impressione che essi ebbero a cuore, più di questa educazione della borghesia all'onorabilità, un'altra opera educativa: quella che tendeva a fare dei loro contemporanei uomini retti, coraggiosi, intelligenti ed energici. Nulla condannano con maggior veemenza della fiacchezza spirituale e morale. Un concorso a premi che ponesse la domanda: ‘Come posso fare del signore impulsivo e gaudente da una parte e dall'operaio ottuso e fiacco dall'altra, un imprenditore capitalistico?’ non avrebbe potuto trovare una risposta migliore di quella già contenuta nella morale dei tomisti. Le opinioni qui espresse sono nettamente opposte a quelle prevalenti sulla posizione della dottrina ecclesiastica rispetto alle esigenze del sorgente capitalismo".