La rivoluzione francese del 1789 e tutte le sue conseguenze segnarono non solo politicamente, ma anche psicologicamente gli europei. Spesso uomini d'affari e funzionari del XIX secolo rilevavano con molto turbamento le agitazioni del proletariato. Invece in Inghilterra, dove non si erano visti sconvolgimenti paragonabili a quelli del continente, la borghesia non aveva tale insicurezza, nonostante il movimento operaio d'oltremanica fosse particolarmente combattivo.
L'imprenditore inglese, di norma, non temeva per il mantenimento dell'ordine sociale. Era certamente consapevole delle difficoltà e delle possibilità di violenza derivanti dalla lotta tra le classi, ma confidava nel fatto che la legge avrebbe sempre avuto la meglio.
L'imprenditore inglese, di norma, non temeva per il mantenimento dell'ordine sociale. Era certamente consapevole delle difficoltà e delle possibilità di violenza derivanti dalla lotta tra le classi, ma confidava nel fatto che la legge avrebbe sempre avuto la meglio.
In Francia, ed in misura minore nel Belgio e nella zona tedesca, l'imprenditore temeva che gli scioperi, le manifestazioni e il fenomeno della disoccupazione potessero sfociare in una rivoluzione politica.
L'industriale continentale, inoltre, aveva una concezione diversa del suo ruolo rispetto al collega inglese. In Europa dirigere un'impresa, per via dell'influenza della forte tradizione baronale, non significava semplicemente fare attività di gestione: l'impresario non era mero datore, ma signore. Si poneva in loco parentis, gli operai erano come ragazzi da educare, e sentiva gravare sulle sue spalle il dovere della sicurezza e del benessere dei lavoratori (sempre limitatamente a ciò che la loro “inferiorità sociale” comportava nella concezione dell'epoca). L'imprenditore continentale, insomma, era paternalista. Questa è naturalmente una tendenza, varianti da zona a zona, che non esaurisce tutte le esperienze imprenditoriali europee. Fatto sta che, sul continente, non si arrivò a quella organizzazione razionale e a quello spazio di manovra inglesi, derivanti dal considerare la manodopera come un semplice fattore di produzione (certo senza dimenticare, si spera, che i lavoratori sono comunque esseri umani).
Anche la visione dei fenomeni sociali differiva: per il “padre-imprenditore” europeo il sindacato era un vile tentativo di sovvertire l'ordine pubblico e morale, lo sciopero un gesto di ingratitudine, la richiesta di condizioni migliori il capriccio di un figlio indisciplinato. Per l'industriale inglese, invece, il sindacato era una avversario, lo sciopero una fastidiosa spina nel fianco, le richieste operaie una questione prevedibile; non amava tutto ciò, ma era pronto ad affrontare le varie situazioni.
Sul continente, infine, lo Stato era pronto a ricordare agli imprenditori i loro obblighi: il rapporto tra datore e lavoratore era considerato come un importante strumento di stabilità sociale. Tuttavia vi erano casi in cui non bastava nemmeno la legge a prevalere sulla consuetudine e la mentalità dell'epoca: nel 1841 i provvedimenti sulle fabbriche e le aziende familiari in Francia furono un fiasco eccezionale per via dell' indomita opposizione degli industriali.
L'industriale continentale, inoltre, aveva una concezione diversa del suo ruolo rispetto al collega inglese. In Europa dirigere un'impresa, per via dell'influenza della forte tradizione baronale, non significava semplicemente fare attività di gestione: l'impresario non era mero datore, ma signore. Si poneva in loco parentis, gli operai erano come ragazzi da educare, e sentiva gravare sulle sue spalle il dovere della sicurezza e del benessere dei lavoratori (sempre limitatamente a ciò che la loro “inferiorità sociale” comportava nella concezione dell'epoca). L'imprenditore continentale, insomma, era paternalista. Questa è naturalmente una tendenza, varianti da zona a zona, che non esaurisce tutte le esperienze imprenditoriali europee. Fatto sta che, sul continente, non si arrivò a quella organizzazione razionale e a quello spazio di manovra inglesi, derivanti dal considerare la manodopera come un semplice fattore di produzione (certo senza dimenticare, si spera, che i lavoratori sono comunque esseri umani).
Anche la visione dei fenomeni sociali differiva: per il “padre-imprenditore” europeo il sindacato era un vile tentativo di sovvertire l'ordine pubblico e morale, lo sciopero un gesto di ingratitudine, la richiesta di condizioni migliori il capriccio di un figlio indisciplinato. Per l'industriale inglese, invece, il sindacato era una avversario, lo sciopero una fastidiosa spina nel fianco, le richieste operaie una questione prevedibile; non amava tutto ciò, ma era pronto ad affrontare le varie situazioni.
Sul continente, infine, lo Stato era pronto a ricordare agli imprenditori i loro obblighi: il rapporto tra datore e lavoratore era considerato come un importante strumento di stabilità sociale. Tuttavia vi erano casi in cui non bastava nemmeno la legge a prevalere sulla consuetudine e la mentalità dell'epoca: nel 1841 i provvedimenti sulle fabbriche e le aziende familiari in Francia furono un fiasco eccezionale per via dell' indomita opposizione degli industriali.