Dietro la retorica della Corea del Nord c'è il tentativo di compattare l'opinione pubblica interna attorno al regime, nascondendo e mistificando la tragica realtà: una politica interna piena di insidie, un paese che non conosce la parola progresso (morale e materiale), un'economia disastrata e una popolazione vittima dell'indigenza (i due terzi dei coreani soffre di stenti alimentari secondo l'ONU).
La Corea del Nord ha inoltre un pesante indebitamento, sopratutto nei confronti dei paesi dell'ex Unione Sovietica e alleati: stime sudcoreane parlano di 20miliardi di dollari a fronte di un PIL di 28 miliardi. Il principale problema di Pyongyang non è tuttavia il rapporto debito-pil in sé; esso, astraendolo dal resto delle circostanze, è migliore di quello italiano: 70% vs. 120%. Ma in un'economia perversa, con molti e gravi squilibri, anche la sostenibilità di un tale debito è messa profondamente a rischio.
Tutti i problemi della Corea del Nord, tuttavia, derivano da un unico e principale problema, quello con la P maiuscola: la mancanza di libertà, che caratterizza il campo economico così come il politico, il sociale come il morale. La “Suprema Assemblea del Popolo” non deve far altro che ratificare le decisioni del Partito dei lavoratori, l'economia è pianificata dal regime che ha nazionalizzato il settore industriale e ripudia la minima libera e privata iniziativa. E così un paese ricco di risorse minerarie, anziché ritrovarsi un felice primato in campo industriale, se ne ritrova uno molto triste, quello dei bambini malnutriti (il 37% nel 2004).
Lo sfaldamento economico, connaturato ad un simile sistema, ha reso, via via, sempre più difficile il pagamento degli interessi: molte nazioni creditrici si sono viste pervenire richieste di cancellazione di fette di debito, talvolta in cambio dell'accettazione di alcuni beni (alla Repubblica Ceca fu offerto il ginseng).
La debolezza di uno Stato forte solo nei proclami è palese se si pensa alla sua grave subalternità a paesi esteri: il principale fornitore di beni e servizi è la Cina; da essa arriva il 90% di rifornimento energetico, l’80% di prodotti di consumo e il 45% di beni alimentari.
La Corea del Nord non può andare avanti così all'infinito, ma la voce grossa che sta facendo può essere una soluzione? Pyongyan confida in maggiori aiuti che la Cina potrebbe fornirgli per non vedere il collasso di un regime amico ed evitare il pericolo della nascita di un nuovo Stato allineato su posizioni filo-occidentali. A tal propostio, il vescovo di Cheju, mons. Pietro Kang U-il, ha dichiarato che la Corea del Nord “vuole ottenere assistenza finanziaria dall'estero senza cedere sull'orgoglio o sulla stima di sé. I vescovi cattolici sono molto tristi per questa tensione e per le minacce di Pyongyang, che rendono il mondo più ansioso e infelice".
Ma la realtà non si può rimandare ad oltranza. La Corea del Nord ha un reddito pro capite di circa 1800 dollari, e la sua economia non arriva a nemmeno il 3% rispetto a quella di Seoul. Senza libertà non può esserci vero progresso. Questa è la realtà.
G. Brigatti
Tutti i problemi della Corea del Nord, tuttavia, derivano da un unico e principale problema, quello con la P maiuscola: la mancanza di libertà, che caratterizza il campo economico così come il politico, il sociale come il morale. La “Suprema Assemblea del Popolo” non deve far altro che ratificare le decisioni del Partito dei lavoratori, l'economia è pianificata dal regime che ha nazionalizzato il settore industriale e ripudia la minima libera e privata iniziativa. E così un paese ricco di risorse minerarie, anziché ritrovarsi un felice primato in campo industriale, se ne ritrova uno molto triste, quello dei bambini malnutriti (il 37% nel 2004).
Lo sfaldamento economico, connaturato ad un simile sistema, ha reso, via via, sempre più difficile il pagamento degli interessi: molte nazioni creditrici si sono viste pervenire richieste di cancellazione di fette di debito, talvolta in cambio dell'accettazione di alcuni beni (alla Repubblica Ceca fu offerto il ginseng).
La debolezza di uno Stato forte solo nei proclami è palese se si pensa alla sua grave subalternità a paesi esteri: il principale fornitore di beni e servizi è la Cina; da essa arriva il 90% di rifornimento energetico, l’80% di prodotti di consumo e il 45% di beni alimentari.
La Corea del Nord non può andare avanti così all'infinito, ma la voce grossa che sta facendo può essere una soluzione? Pyongyan confida in maggiori aiuti che la Cina potrebbe fornirgli per non vedere il collasso di un regime amico ed evitare il pericolo della nascita di un nuovo Stato allineato su posizioni filo-occidentali. A tal propostio, il vescovo di Cheju, mons. Pietro Kang U-il, ha dichiarato che la Corea del Nord “vuole ottenere assistenza finanziaria dall'estero senza cedere sull'orgoglio o sulla stima di sé. I vescovi cattolici sono molto tristi per questa tensione e per le minacce di Pyongyang, che rendono il mondo più ansioso e infelice".
Ma la realtà non si può rimandare ad oltranza. La Corea del Nord ha un reddito pro capite di circa 1800 dollari, e la sua economia non arriva a nemmeno il 3% rispetto a quella di Seoul. Senza libertà non può esserci vero progresso. Questa è la realtà.
G. Brigatti