La parola sussidiarietà deriva dal termine latino subsidium, che indicava la truppa di riserva pronta a dare il proprio sostegno in caso di necessità.
Una prima elaborata definizione del principio sussidiarietà la si trova nell'enciclica <<Quadragesimo anno>> del 1931: “Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”.
Una prima elaborata definizione del principio sussidiarietà la si trova nell'enciclica <<Quadragesimo anno>> del 1931: “Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”.
In virtù di tale principio, i corpi sociali “superiori” devono porsi in atteggiamento di sostegno, di subsidium, verso quelli “minori”, senza detenere il monopolio dello svolgimento di funzioni di utilità sociale. In tal modo i corpi intermedi della società hanno la possibilità di mettere in campo il loro potenziale, senza vedersi ostacolati a causa di un sistema ingessato in cui il diritto d'iniziativa è detenuto solo ed esclusivamente dagli “ordini sociali superiori”.
La sussidiarietà è quindi caratterizzata da implicazioni di natura positiva: sostegno economico, istituzionale, legislativo che viene offerto alle entità sociali minori. Ma anche da implicazioni di natura negativa: lo Stato deve infatti auto-astenersi in determinati settori per non ostacolare chi potrebbe adempiere ad un determinato bisogno meglio dello Stato stesso. Difatti ogni persona, ogni aggregazione di uomini e donne ha qualcosa da offrire alla società, conoscendo meglio certe realtà periferiche che non alcuni alti amministratori pubblici. In questa maniera si favorisce anche la lotta all'inefficienza, all'assistenzialismo, ad un eccessivo centralismo burocratico.
Scrisse Giovanni Paolo II nell'enciclica Centesimus annus: “Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese”.
La nazionalizzazione delle opere pie introdotta nel 1890 con la Legge Crispi, che gran danno causò alla società tutta, è una delle prove storiche del fatto che quando lo Stato reclama per sé soltanto la promozione del bene comune, finisce per favorire un “male egualitario”.
Che cosa in concreto corrisponda al principio sussidiarietà è ben spiegato nel Compendio della dottrina sociale: “All'attuazione del principio di sussidiarietà corrispondono: il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l'incoraggiamento offerto all'iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune; l'articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l'equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un'adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo «essere parte» attiva della realtà politica e sociale del Paese”.
Sono il reciproco riconoscimento e la collaborazione tra Stato e società civile che costituiscono il valore aggiunto di un sistema. In condizioni di libertà anche la società civile può concorrere alla promozione del bene comune.
Come ci insegna De Gasperi, infatti, è la libertà la via maestra a ogni progresso.
La sussidiarietà è quindi caratterizzata da implicazioni di natura positiva: sostegno economico, istituzionale, legislativo che viene offerto alle entità sociali minori. Ma anche da implicazioni di natura negativa: lo Stato deve infatti auto-astenersi in determinati settori per non ostacolare chi potrebbe adempiere ad un determinato bisogno meglio dello Stato stesso. Difatti ogni persona, ogni aggregazione di uomini e donne ha qualcosa da offrire alla società, conoscendo meglio certe realtà periferiche che non alcuni alti amministratori pubblici. In questa maniera si favorisce anche la lotta all'inefficienza, all'assistenzialismo, ad un eccessivo centralismo burocratico.
Scrisse Giovanni Paolo II nell'enciclica Centesimus annus: “Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese”.
La nazionalizzazione delle opere pie introdotta nel 1890 con la Legge Crispi, che gran danno causò alla società tutta, è una delle prove storiche del fatto che quando lo Stato reclama per sé soltanto la promozione del bene comune, finisce per favorire un “male egualitario”.
Che cosa in concreto corrisponda al principio sussidiarietà è ben spiegato nel Compendio della dottrina sociale: “All'attuazione del principio di sussidiarietà corrispondono: il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l'incoraggiamento offerto all'iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune; l'articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l'equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un'adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo «essere parte» attiva della realtà politica e sociale del Paese”.
Sono il reciproco riconoscimento e la collaborazione tra Stato e società civile che costituiscono il valore aggiunto di un sistema. In condizioni di libertà anche la società civile può concorrere alla promozione del bene comune.
Come ci insegna De Gasperi, infatti, è la libertà la via maestra a ogni progresso.