Il senso della Caritas in Veritate, saldamente ancorato alla teologia, si sviluppa nel rapporto tra carità, verità e giustizia. La tesi sostenuta è che il legame tra la carità e la giustizia non può aversi se non è in veritate, nella verità.
È l'amore - << caritas >> - quella forza che muove l'uomo a impegnarsi con disinteresse e generosità per la pace e la giustizia. E questa forza, per il cristiano, proviene da Dio, “Amore eterno e Verità assoluta”(Caritas in Veritate, introduzione). L'anelito di una carità autentica, ovvero di una carità nella verità, è posto nel cuore e nella mente di ogni uomo da Dio.
È l'amore - << caritas >> - quella forza che muove l'uomo a impegnarsi con disinteresse e generosità per la pace e la giustizia. E questa forza, per il cristiano, proviene da Dio, “Amore eterno e Verità assoluta”(Caritas in Veritate, introduzione). L'anelito di una carità autentica, ovvero di una carità nella verità, è posto nel cuore e nella mente di ogni uomo da Dio.
Senza la verità, la carità è svuotata di senso e scade in un antipatico sentimentalismo; “l'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale”(Caritas in Veritate, introduzione). E la Verità è Cristo stesso.
Chi rinuncia all'amore per il vero, perde anche la cognizione autentica del vivere in società, sotterrando così la coscienza e la responsabilità sociale. L'azione sociale diviene conseguentemente bieco strumento asservito a interessi privati e logiche di potere, gravido di conseguenze negative.
<< Caritas in Veritate >> è un principio dal quale non si può prescindere per fare dottrina sociale. Da esso muovono i criteri orientativi che determinano l'atto pratico di un agire morale. Occorre ora richiamare due criteri che sono fondamentali: la giustizia e il bene comune.
“Ubi societas, ibi ius” ricorda Benedetto XVI; ogni società sviluppa un sistema di giustizia. Quest'ultima si ottiene nella misura in cui ogni persona ottiene ciò che le spetta di diritto. E dove sta il legame tra carità e giustizia (sempre in veritate, non scordiamo la condizione base)? Innanzitutto possiamo dire che quando amiamo una persona, siamo anche giusti nei suoi confronti. Infatti la carità possiede la caratteristica della gratuità, e consiste nel dare senza aspettarsi nulla in cambio; ma come possiamo donare (liberamente) a una persona, se prima non le diamo (doverosamente) ciò che le spetta? Pertanto non c'è vera carità, se prima non c'è compiuta giustizia.
Infine, carità e giustizia, quando vengono sperimentate nel vivere sociale, hanno bisogno del concetto di bene comune per poter trovare un sano concretizzarsi.
Oltre al bene individuale, esiste un bene appartenente a “noi-tutti”(cittadini, famiglie, lavoratori, imprenditori...), che può essere perseguito solamente in una dimensione sociale, prendendosi cura e avvalendosi delle istituzioni (civili, giuridiche, politiche, culturali...); sono esse che disciplinano e caratterizzano il nostro stare insieme. Chi si disinteressa a loro, finisce implicitamente per disinteressarsi di sé. Questa è una via istituzionale della carità, ma ciò non significa che essa sia moralmente inferiore alla carità di uomo che dona un pezzo di pane a un affamato. Pensiamo al valore morale e sociale dell'azione delle associazioni di volontariato, delle onlus, di chi opera nel no-profit; al bene fatto da organismi laici o ecclesiali (i migliaia di pasti che la Caritas dona quotidianamente a chi ne ha bisogno).
Ma la carità, per tradursi socialmente in solidarietà, non può prescindere dall'intelligenza. Sarebbe buonismo, spesso dannoso. Uno Stato con ordinamenti poco intelligenti non è solidale, ma assistenzialista; non è caritatevole, ma paternalista.
Inoltre Benedetto XVI ci ricorda che una solidarietà intelligente, nel lungo termine, risulta anche conveniente.
La Caritas in Veritate se fosse maggiormente compresa ci aiuterebbe, senza dubbio, ad accelerare l'uscita dalla crisi. Mi torna ora in mente una frase di George Bernard Shaw: “Non vedo via d'uscita dalla miseria del mondo se non Gesù come uomo politico”.
Chi rinuncia all'amore per il vero, perde anche la cognizione autentica del vivere in società, sotterrando così la coscienza e la responsabilità sociale. L'azione sociale diviene conseguentemente bieco strumento asservito a interessi privati e logiche di potere, gravido di conseguenze negative.
<< Caritas in Veritate >> è un principio dal quale non si può prescindere per fare dottrina sociale. Da esso muovono i criteri orientativi che determinano l'atto pratico di un agire morale. Occorre ora richiamare due criteri che sono fondamentali: la giustizia e il bene comune.
“Ubi societas, ibi ius” ricorda Benedetto XVI; ogni società sviluppa un sistema di giustizia. Quest'ultima si ottiene nella misura in cui ogni persona ottiene ciò che le spetta di diritto. E dove sta il legame tra carità e giustizia (sempre in veritate, non scordiamo la condizione base)? Innanzitutto possiamo dire che quando amiamo una persona, siamo anche giusti nei suoi confronti. Infatti la carità possiede la caratteristica della gratuità, e consiste nel dare senza aspettarsi nulla in cambio; ma come possiamo donare (liberamente) a una persona, se prima non le diamo (doverosamente) ciò che le spetta? Pertanto non c'è vera carità, se prima non c'è compiuta giustizia.
Infine, carità e giustizia, quando vengono sperimentate nel vivere sociale, hanno bisogno del concetto di bene comune per poter trovare un sano concretizzarsi.
Oltre al bene individuale, esiste un bene appartenente a “noi-tutti”(cittadini, famiglie, lavoratori, imprenditori...), che può essere perseguito solamente in una dimensione sociale, prendendosi cura e avvalendosi delle istituzioni (civili, giuridiche, politiche, culturali...); sono esse che disciplinano e caratterizzano il nostro stare insieme. Chi si disinteressa a loro, finisce implicitamente per disinteressarsi di sé. Questa è una via istituzionale della carità, ma ciò non significa che essa sia moralmente inferiore alla carità di uomo che dona un pezzo di pane a un affamato. Pensiamo al valore morale e sociale dell'azione delle associazioni di volontariato, delle onlus, di chi opera nel no-profit; al bene fatto da organismi laici o ecclesiali (i migliaia di pasti che la Caritas dona quotidianamente a chi ne ha bisogno).
Ma la carità, per tradursi socialmente in solidarietà, non può prescindere dall'intelligenza. Sarebbe buonismo, spesso dannoso. Uno Stato con ordinamenti poco intelligenti non è solidale, ma assistenzialista; non è caritatevole, ma paternalista.
Inoltre Benedetto XVI ci ricorda che una solidarietà intelligente, nel lungo termine, risulta anche conveniente.
La Caritas in Veritate se fosse maggiormente compresa ci aiuterebbe, senza dubbio, ad accelerare l'uscita dalla crisi. Mi torna ora in mente una frase di George Bernard Shaw: “Non vedo via d'uscita dalla miseria del mondo se non Gesù come uomo politico”.